Di Giovanni Bogani



AMOS GITAI - UN FILM FATTO DA UN ISRAELIANO E UN PALESTINESE INSIEME

VENEZIA - Un film dove un israeliano e un palestinese girano insieme. Filmano insieme. Alla faccia di tute le guerre. Passate, presenti e future. Contro tutte le guerre. Contro quelli che, in un festival in Francia, gli hanno chiesto : “Ma davvero dormite nello stesso albergo ?”. Si mette a ridere, Amos Gitai, quando ricorda queste cose. Lui, israeliano, autore di film splendidi come “Berlin-Jerusalem”, è amico da anni dell’ “altro”, Elia Souleyman, del regista palestinese con cui condivide il desiderio di una convivenza pacifica in Medio Oriente. Sono stati invitati tutti e due in un festival, in un piccolo paesino della Francia, e hanno deciso di girare insieme un piccolo film. “Un film sull’esperienza di andare insieme ad un festival, un israeliano e un palestinese. Quando siamo insieme, parliamo in un linguaggio neutro, in inglese. Ma se volessimo, potremmo capirci anche se ognuno parlasse la sua lingua”. Incontriamo Gitai in un bar, subito dopo la proiezione di “Guerra e pace a Vesoul”, il suo piccolo, anomalo film, che è stato accompagnato da un altro, “Kippur”, in cui Gitai ripercorre la memoria della guerra del 1973, con un montaggio cubista di memorie e di immagini, mescolando stili ed emozioni. Chissà, forse è proprio la commistione, il mix - di immagini, di stili, di culture - la cifra stilistica più profonda di questo grande autore, che la Mostra di quest’anno, più attenta ai rapporti che il cinema intrattiene con la realtà, onora con la proiezione di due film. Gitai parla della situazione del Medio Oriente, oggi, in un modo che forse altri israeliani non approverebbero. Racconta come è cambiata la situazione negli ultimi anni : “Dopo i trattati di pace di Oslo abbiamo sperato che le grandi barriere fra mondo arabo e ebrei potessero cadere, e che una nuova realtà potesse nascere, una realtà di dialogo e coesistenza. Penso che l’assassinio di Rabin è stato un modo molto brutale di ricordarci che non sta per nascere nessuna pace nel Medio Oriente”. Parole dure. Specie se dette da uno che, con i suoi film, da intellettuale, ha lottato e lotta per la coesistenza. Che cosa accadrà, adesso ? Gitai non è ottimista : “Penso che è una situazione intermedia, che ha bisogno di essere risolta. Se ci sarà una guerra, o se le forze che vogliono la pace nei differenti campi riusciranno a sopravvivere agli attacchi dell’autoritarismo e del fondamentalismo religioso, le forze nazionaliste che vogliono rituffare tutta la regione nella vecchia visione di conflitto e di guerra”. Anche Woody Allen, nel suo film, lancia un feroce attacco contro il fondamentalismo ebraico. Un attacco che molti, nelle comunità ebraiche, non hanno gradito affatto. Che cosa ne pensa, Gitai ? “Che il fondamentalismo è sempre sbagliato. Per la ragione che tu credi che la tua religione sia l’unica, la migliore, e che tutti gli altri abbiano torto”. L’attuale ministro della cultura in Israele, dice Gitai, “è anche il presidente del partito religioso. Ha un atteggiamento molto più conservatore del precedente ministro, che era una donna, radicale, un avvocato impegnata nella lotta per i diritti civili”. In questi giorni, “Kippur” di Gitai verrà trasmesso da Arte in decine di paesi al mondo, compresi i paesi arabi. “Vedremo quello che succederà : ma sono fiducioso. In Egitto, sono apparsi articoli sui miei film. Il dialogo comincia anche da questo”.

[da La Nazione del 30 agosto 1997]


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