Di Giovanni Bogani


Emma Thompson, Veltroni (poco), Tatò su Mastroianni e altro

VENEZIA - Capelli cortissimi tinti di rosso fiammante, Emma Thompson, due Oscar e tanti splendidi film, protagonista qui di “The Winter Guest”, sembra un po’ meno la lieve e aristocratica protagonista di "Casa Howard", e non fa pensare ai tormenti di una giovane donna inglese, quanto alla voglia di vivere di chi è uscito da un rapporto lungo e difficile con un marito/regista, per ritrovare una dimensione autonoma, ma forte, del vivere. Arriva con uno spolverino a colori vivaci, che danno sul temutissimo viola; pantoloni, un top anch’esso vivacissimo. E un discreto italiano, che sfoggia subito quando pronuncia la frase “Ho fatto questo film con mia madre, Phillida Law”. E nella finzione, sono ancora madre e figlia. “Con mia madre - prosegue - avevo già lavorato in ‘ Molto rumore per nulla’ e in ‘Peter’s Friends’ di Kenneth Branagh. E’ la prima volta, però, che facciamo madre e figlia sullo schermo. Non è stato molto difficile, se non per il fatto che abbiamo dovuto completamente creare una conflittualità che nella realtà non esiste, non conosciamo”. Per lei è stato molto interessante, a sua volta, fare nel film la madre di un ragazzino diciassettenne. “Nel film come nella vita ho trentotto anni. Ho capito come quando sia ha un figlio da ragazzi, ci sia poco spazio per le attenzioni. Adesso però vorrei avere davvero dei figli, è il momento giusto per me. “Nella realtà, sono un po’ più io la madre, perché ho una naturale inclinazione a comandare, e sono iperattiva. Quando gli altri a fine giornata sono stanchi, la mia esclamazione è sempre: ‘Allora, che facciamo adesso?’.”. Quando lei dice questo, la madre, che è presente in conferenza stampa, dice “Crescere Emma è stato come essere investiti da un’auto impazzita”. Non manca, da parte di Emma la vulcanica, una battuta su Lady D.: “E’ una donna moderna, impegnata, che ha cambiato moltissime cose nella società inglese”. Ed ha aggiunto: “Non so come faccia a vivere, visto che i giornalisti inglesi la tormentano in ogni dove e per tutta la giornata”. In mattinata, Walter Veltroni ha firmato un protocollo d’intesa con il minsitro della cultura francese, Catherine Trautmann, Tatò. Anna Maria Tatò, che è stata compagna di Marcello Mastroianni negli ultimi anni, presenta qui a Venezia la versione “lunga” (quasi quattro ore) del suo commosso omaggio all’attore più grande di tutti. Si presenta con un completo blu acceso, ingentilito da un bocciolo di rosa. Racconta quello che c’è in questa versione lunga, e che manca nell’altra: “Infiniti spezzoni di film, anche lunghi, perché Marcello non voleva che ci mettessi quelli che chiamava ‘francobolli’. E anche film rarissimi, che neppure io avevo mai visto, e di cui Marcello parlava nell’intervista che abbiamo girato. C’è anche un pezzo de ‘La principessa delle Canarie’, dove lui fa lo spadaccino vestito in costume, in un film ambientato al tempo di Cristoforo Colombo”. Si parla, con Anna Maria Tatò, della passione di Mastroianni per i viaggi: “Marcello diceva che, tra un film a Roma e uno a Civitavecchia, avrebbe preferito Civitavecchia. Perché così almeno si sarebbe mosso, sarebbe uscito da Roma. Immaginarsi quando ha potuto fare film in Portogallo, o in tutti i luoghi dove è stato”. Il film, nella versione “lunga”, chiuderà il festival di New York. Nato come un film libero, senza preparazione, “Mi ricordo, sì mi ricordo” è stato girato senza mai ripetere un ciak. Così com’è, Marcello si voleva vedere così, come riusciva a raccontarsi immediatamente, senza preparare niente. Un attore che preferiva non posare. E un inedito cantante. Nel film ci sono tante canzoni di Mastroianni: “Sì, Marcello era un grande canterino: un giorno farò un film montando tutte le canzoni che Marcello ha cantato, nella sua vita. Era la sua gioia più grande, cantare. Dopo quel gioco che è sempre stato, per lui, il cinema”. Non c’è dolore nelle parole di Anna Maria Tatò: c’è rispetto, e amore, e ancora infinita ammirazione per un attore grande che ha saputo, fino all’ultimo, e fino in questo film, essere semplice. Come quando parla dei suoi film “brutti”: potendosi permettere anche, da grandissimo attore, la sublime dote della modestia.

[da La Nazione del 30 agosto 1997]


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